Il cd. “demansionamento“, anche conosciuto come “dequalificazione” prevede l’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto, ossia quelle previste contrattualmente. Le mansioni, infatti, non sono modificabili.
Ciò sta a significare che il lavoratore sarà tenuto a svolgere, in linea di massima, tutte quelle attività previste nel suo livello di inquadramento.
Al di fuori delle ipotesi in cui per legge il demansionamento è da considerarsi lecito, vi è poi tutta una serie di ipotesi illegittime, ossia situazioni in cui il lavoratore viene isolato e mortificato con il preciso intento di farlo dimettere.
Il demansionamento quando è illecito può determinare danni non solo di natura patrimoniale, strettamente dipendenti alla carriera lavorativa come la perdita. di professionalità, ma anche veri e propri danni morali, che attengono alla sfera emotiva e psichica del lavoratore.
Posto che il demansionamento altro non è che un inadempimento contrattuale, ne discende l’applicabilità dei presidi offerti in materia dal nostro ordinamento.
Nello specifica, la vittima di tale dequalificazione può richiedere formalmente al datore che cessi tale condotta ed essere reimmessa nelle proprie mansioni.
In difetto la stessa può rivolgersi al Giudice del lavoro anche per ottenere un risarcimento dei danni patiti (patrimoniali e non).
Pare doveroso precisare che l’onere probatorio è a carico del lavoratore.
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