Non è così infrequente rinvenire nei contratti di compravendita tra privati – sia di beni mobili che immobili – la cd. clausola “vista e piaciuta”, con la quale l’acquirente rinuncia alla garanzia in caso di vizi della cosa. Analizziamone gli aspetti più importanti.
I contraenti, nell’ambito della loro autonomia contrattuale possono derogare alla disciplina legale della garanzia per vizi della cosa venduta, con l’inserimento nel contratto di apposita clausola, ammessa dall’art. 1490, II comma, c.c., e debitamente approvata per iscritto ex art. 1341 comma 2 c.c.
Ai sensi dell’art. 1490 c.c. “il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa”.
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Toggle“Vista e Piaciuta” come clausola vessatoria
La clausola “vista e piaciuta” costituisce quindi un patto di limitazione/esonero della garanzia, mediante il quale il rischio che la cosa venduta non funzioni passa dal venditore all’acquirente.
Con essa l’acquirente dichiara di aver preso visione del bene nello stato in cui si trova e di accettarlo così com’è.
La clausola in esame determina un forte squilibrio del contratto tra le parti, comportando di fatto un svantaggio in capo al compratore a favore del venditore.
Pertanto è da considerarsi “vessatoria” ed in quanto tale è soggetto alle previsioni di cui all’art. 1341, 2° comma, c.c.
Nello specifico, il nostro ordinamento impone che la clausola “vista e piaciuta” (anche nota semplicemente come “Visto e Piaciuto“) non produca effetto se non specificatamente approvata per iscritto.
La legge infatti richiede che il contratto contenga una doppia sottoscrizione, in genere in calce ad una esplicita elencazione delle clausole vessatorie in esso contenute. Se manca tale sottoscrizione le sole clausole vessatorie sono inefficaci per chi le subisce.
Infine, secondo la giurisprudenza non bastano generiche formule di stile per escludere la garanzia per i vizi.
Dizioni come «visto e accettato nello stato in cui si trova», «merce come sta», «merce vista e gradita», «merce verificata, provata e accettata» per essere efficaci e vincolanti devono essere ben disciplinate all’interno del contratto e non genericamente menzionate.
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In quali casi non opera la clausola “Vista e Piaciuta”?
Non si può ricorrere alla clausola in oggetto nei seguenti casi:
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- per i vizi taciuti e/o occultati in mala fede dal venditore;
- per i vizi occulti, purché emersi dopo i normali controlli eseguiti anteriormente l’acquisto;
- per i contratti tra professionista e consumatore (cd. B2C), la cui disciplina è rimessa al Codice del Consumo.
Vale la pena precisare che se il venditore ha taciuto il vizio occulto, ma questo era comunque conosciuto dal compratore. In questo caso, la clausola è pienamente operativa.
Infine, in ambito B2C si ricorre all’art. 36 del Codice del Consumo, rubricato “nullità di protezione“, laddove la nullità opera solo a favore del consumatore.
In questa ultima ipotesi infatti la clausola “vista e piaciuta” è da ritenersi nulla, pur non invalidando il resto del contratto.
Profilo dell’autore
Avv. Valentina PERNEY
Iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano. L’Avvocato Perney si occupa principalmente di diritto civile, in particolare di contrattualistica e di diritto immobiliare. Nel 2017 si è avvicinata al diritto delle nuove tecnologie e alla tutela dei dati personali, perfezionando la propria formazione con la partecipazione a diversi corsi su tali materie.





